Dizionario della lingua latina di Ferruccio Calonghi edizione Rosemberg & Sellier del 1957, vale a dire, ahimè, i tempi del liceo. Alla voce iecur , fegato in latino, si legge: “secondo la credenza degli antichi, sede dei sentimenti e delle passioni, particolarmente dell’amore sensuale e dell’ira”, in altre parole quello che per noi è il cuore. Ciò spiega chiaramente perchè ancora oggi si dice avere fegato nel senso di avere coraggio ( o non aver paura ). Ma perchè, se i Romani dicevano iecur , noi invece diciamo fegato?
È una storia che inizia in cucina ai tempi dei Greci e tramandata ai Romani. I nostri antenati, infatti, usavano ingrassare alcuni animali, in particolare le oche (qualche buongustaio avrà già l’acquolina in bocca, pensando al fegato d’oca o, magari, a un patè de foie gras ), nutrendoli con grosse quantità di fichi, cosicchè non solo facevano ingrossarne il fegato (iecur) ma davano altresì a quest’ultimo un gusto del tutto particolare.

E così il fegato degli animali ingrassati con i fichi fu detto dai Romani iecur ficatum ( i Greci dicevano sukaton da sukon, fico), ma mentre iecur si perse per strada, ficatum lasciò le tavole imbandite e finì per indicare quello che oggi noi chiamiamo fegato, ovverosia la grossa ghiandola dell’apparato digerente comune a tutti i vertebrati, uomo compreso, il quale non solo continua a mangiare il fegato d’oca ma spesso si mangia anche il suo o quantomeno se lo rode.