La civetta e le allodole
Etimologia, simbolismo e curiosità linguistiche tra miti e realtà
La civetta, animale notturno, i Romani la chiamavano noctuam. Il termine italiano, invece, è una onomatopea romanza, in quanto deriva dal suo caratteristico verso ci-ù, per indicare il quale si usa il verbo stridere. La civetta, essendo utilizzata come richiamo per la cattura di altri volatili, in particolare le allodole, ha assunto il significato traslato di ‘qualcuno o qualcosa che attira l’attenzione’; così di una donna frivola che con le sue moine ed il suo abbigliamento vuole richiamare gli altrui sguardi si dice che è o fa la civetta. Il termine civetta si usa anche con valore di aggettivo (invariabile) per indicare qualcosa che, camuffando il proprio aspetto, serva da esca, come l’auto civetta della polizia priva di qualsiasi contrassegno o la notizia civetta che viene pubblicata per ottenere una conferma o una smentita. Ma torniamo alla donna frivola. Nel quadro terzo della Bohème così canta Rodolfo:
Mimì è una civetta
Che frascheggia con tutti. Un moscardino
Di Viscontino
Le fa l’occhio di triglia.
Ella sgonnella e scopre la caviglia
Con un far promettente e lusinghier.
E’ la notissima opera lirica di Giacomo Puccini, su libretto di G. Giacosa e L. Illica, rappresentata la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1896. Bohème, propriamente Boemia in francese, nel XIX secolo indicava in Francia la vita errabonda degli zingari (bohémiens perché provenienti dalla Boemia). Dopo la pubblicazione (1851) del romanzo di Henri Murges ‘Scènes de la vie de Bohème’, il termine bohème diventò popolare per indicare l’ambiente povero di giovani artisti e letterati e la loro vita disordinata e anticonformista, rappresentati, appunto, nell’opera di Puccini ispirata al romanzo di Murges.
Nei pochi versi si possono trovare diversi spunti. Mimì frascheggia, cioè, appunto, come lo stormire delle frasche mosse dal vento, fa come la civetta, che abbiamo visto viene utilizzata dai cacciatori come richiamo. In generale l’uccello da richiamo viene detto anche zimbello, termine che deriva dall’antico provenzale cembel una sorta di piffero utilizzato per imitare la voce degli uccelli e, quindi, passato a significare uccello di richiamo: cembel deriva dal latino volgare *cymbellum diminutivo di cymbalum, il quale presso i Latini, usato al plurale (cymbala), indicava, come già per i Greci, uno strumento musicale a percussione costituito da due dischi (mezzi globi) muniti di manico che venivano percossi tra loro.
Zimbello significa anche persona oggetto di scherno e di burle: Montale lo utilizza nella poesia Non ho mai capito se io fossi, nella quale, della moglie ormai morta, traccia, come fosse ancora presente, con estrema affettuosità, un ritratto ironico, parlando della sua fedeltà, come quella reciproca del poeta, tipica del cane, della sua reale miopia come quella di un insetto miope, e, soprattutto, con la sensibilità del pipistrello, della sua capacità di vedere (anche al buio) l’essenza della vita e di smascherare l’ignoranza dei furbi:
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miopesmarrito nel blabla
dell’alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
Ma torniamo a Mimì che frascheggia, in particolare, con un moscardino, ovvero con un bellimbusto denominato moscardino, per il fatto che una volta i giovanotti alla moda usavano per profumare l’alito una pasticca al muschio (latino muscum), da cui viene anche il nome del vino moscato, in quanto tratto dall’uva moscata cosiddetta perché ha un lieve odore di muschio. La noce moscata (latino medievale nux muscata), frutto di una pianta tropicale (Myristica fragans) è chiamata così per la sua forma di piccola noce ed il profumo di muschio.
Moscardino è anche il nome di un simpatico roditore ed altresì di un piccolo polpo, presente nei nostri mari, dalle ottime carni: il nome è dovuto al fatto che entrambi emanano odore di muschio, il primo lieve, il secondo forte. Il roditore è detto anche nocciolino o topo delle nocciole, in quanto, oltre che di semi e di insetti, si nutre anche di nocciole.
Per quanto riguarda bellimbusto viene da bello in busto. L’aggettivo bello era reso in latino con i termini pulcher e formosus: tuttavia nel linguaggio familiare si usava anche bellus, vezzoso, grazioso, diminutivo di bonus, il quale significava buono, (di norma in contrapposizione a malus, cattivo), eccellente, valente, ma anche vezzoso, bello con riferimento all’aspetto fisico. Bellus finì per soppiantare pulcher, i cui esiti dotti in italiano, pulcro ovvero bello e pulcritudine ovvero bellezza sono ormai desueti.
Tutt’altra provenienza ha il sostantivo latino bellum, ovvero la battaglia, la guerra da cui vengono bellicum, bellico, bellicosum, bellicoso e belligerare (bellum + gerere, portare), ovvero far guerra, guerreggiare, insomma roba da belligeranti. Bellum è forma alterata di duellum, forma arcaica che diventò dvellum, dbellum e, infine, bellum: trasformazioni simili si sono avute con bis, che in origine era duis, e con bonus, che in origine era duonos. L’arcaico duellum fu ripescato dal latino medievale ad indicare la lotta tra due, dando origine al nostro duello.
Nelle lingue romanze bellum fu sostituito con il germanico werra (guerra). Dice Bruno Migliorini nella sua Storia della lingua italiana: “La sostituzione ci mostra il prevalere del disordinato modo di combattere dei Germani sull’ordinato bellum dei Romani: werra si connette con l’antico alto tedesco (fir)-werran ‘avviluppare’; e quindi significa etimologicamente ‘mischia’ “. Dal latino tardo abbiamo, invece, preso battaglia. che viene da battualia ( o battalia), sostantivo neutro plurale che indicava gli esercizi di scherma di soldati e gladiatori, derivato dal verbo battuere, che significava battere e, negli esercizi di scherma, battersi.
E per finire busto, che oggi indica la parte superiore del corpo umano, ma in origine era il luogo dove si bruciavano i cadaveri, derivando dal verbo amburere (amb, intorno e urere, bruciare), dal quale fu ricavato il verbo *burere, dal cui participio passato bustum fu tratto il nostro termine che da luogo in cui si bruciavano i cadaveri assunse il significato lato di sepolcro e da questo, per metonimia, quello di cadavere con l’ulteriore passaggio semantico a immagine scolpita del defunto, che veniva posta sulla tomba, ed infine quello di tronco del corpo. Chi, come il Nocentini, nonritiene accettabile questo percorso, soprattutto perché il significato intermedio di statua commemorativa non esiste in latino, fa riferimento ad un latino volgare *bustum, derivante dal gallico *bustis, fusto, tronco.
Tornando alla civetta, capita di leggere che l’uso della civetta come richiamo deriva dalla sua particolare tecnica di caccia mediante la quale riesce ad attirare attorno a sé altri uccelli di piccola taglia. Sembra, invece, che le cose stiano diversamente e che si tratti di una questione di mobbing.
Tutti ormai conoscono il significato di mobbing nei rapporti umani, ovvero la forma di persecuzione psicologica a cui viene sottoposto un lavoratore da parte di colleghi, superiori o datori di lavoro con ripetuti atti intimidatori o discriminatori: l’obbiettivo finale del ‘persecutore’ è quello di portare il lavoratore a dimettersi o a porsi nelle condizioni di essere licenziato. Ma questo, si dirà, con la civetta e con le allodole non ha nulla a che vedere. Il fatto è che il termine mobbing è stato creato dagli etologi ovvero dagli scienziati che studiano i comportamenti degli animali ed in particolare le loro reazioni agli stimoli provenienti da altri animali della stessa specie o di specie diversa.
Mobbing [dal verbo inglese (to) mob, affollarsi, far ressa, assalire] indica l’assalto collettivo che alcuni animali, ad esempio le allodole, mettono in atto, con comportamenti aggressivi, per difendersi dal loro potenziale predatore, nel caso delle allodole la civetta. Quando quest’ultima compare, le allodole gli si affollano minacciose intorno, con alte grida, al fine di spaventarla e di scoraggiarla, ottenendo spesso il suo allontanamento e salvandosi così la vita. Il cacciatore, sempre pronto a cogliere tutte le occasioni pur di riempire il carniere, avendo scoperto questo meccanismo lo ha sfruttato a suo uso e consumo, ponendo una civetta viva o finta su un palo e aspettando l’arrivo delle allodole che a questo punto non sono più potenziali vittime della civetta ma vittime effettive del fucile dell’uomo. L’estensione del termine mobbing alla persecuzione sul lavoro, anche se consolidata dall’uso, sembra, pertanto, impropria, in quanto nel vero mobbing sono le potenziali vittime che assalgono (affollandosi intorno) il potenziale predatore per difendersi; nel mobbing sul lavoro, invece, è il lavoratore, spesso anche di grado elevato, che viene perseguitato da uno o più colleghi, o superiori o dal datore di lavoro e sembra difficile vedere nel lavoratore perseguitato il potenziale predatore e nei persecutori le potenziali vittime che agiscono per difendersi. C’è sempre, comunque, lo zampino del latino: l’inglese mob, folla tumultuante, deriva, per abbreviazione, dal latino mobile vulgus, folla in movimento.
Nei paesi di lingua inglese è diffuso anche il termine stalking, dal verbo to stalk, inseguire nascostamente, usato inizialmente nell’espressione star stalking, che sta ad indicare i casi di molestie assillanti a personaggi famosi. Oggi stalking in molti paesi, compresa l’Italia, indica il reato di molestie di cui sono di norma vittime gli esercenti delle cosiddette help professions, quali medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, magistrati, ma anche la ex fidanzata/o o l’ex coniuge. Quando il persecutore (stalker) riesce nel suo intento la vittima entra in un vero e proprio stato di sofferenza, caratterizzato da ansia e spavento, che può indurla addirittura ad un cambiamento di vita. Purtroppo, l’esito delle sciagurate azioni persecutorie arriva spesso all’uccisione della vittima, soprattutto quando si tratta di una donna ed il persecutore è l’ex marito o l’ex fidanzato.
E l’Allodola ? Viene da alauda, uno dei termini con cui questo uccello veniva indicato in latino.
L’allodola, che durante il volo emette un trillo armonioso, inizia il suo canto modulato alle prime ore della luce e si fa ascoltare per l’intero giorno, mentre l’usignolo emette il suo canto spesso di notte, cosicché l’una e l’altro finiscono per far da sentinella agli amanti notturni, come in Romeo e Giulietta:
Atto terzo, Quinta scena L’orto dei Capuleti
Romeo e Giulietta, al balcone, in alto
Giulietta Vuoi già andartene? L’alba è ancora lontana. Era l’usignolo, poco fa, non l’allodola, quello che ti ha ferito l’orecchio inquieto: canta tutte le notti sul melograno, laggiù. Credimi, amore, era l’usignolo.
Romeo Era l’allodola, messaggera dell’alba, non l’usignolo: guarda, amore, quelle maligne strisce come già frastagliano di chiarori i margini dei cirri fuggitivi che si sfanno da Levante, laggiù. Sono tutte consumate le candele della notte, e il giocondo mattino, sulla punta dei piedi si affaccia alle cime dei monti dietro un velo leggero di brume. Ora, o andar via e vivere, o restar qui e morire.
( W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, in Teatro, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Einaudi Editore1960)
L’allodola ha piumaggio bruno ed un caratteristico ciuffetto sul capo, tanto che i Latini la chiamavano ‘galerita avis’ ovvero ‘uccello col ciuffo’ (galerus indicava un berretto di pelo ed anche la capigliatura posticcia).
Con l’espressione ‘specchio o specchietto per le allodole’ si indica un trucco per ingannare gli ingenui ovvero un richiamo ingannevole. Il modo di dire deriva da uno dei sistemi per dare la caccia alle allodole, consistente in un sistema rotante di specchi, il quale con i raggi del sole crea una sorta di bagliore intermittente che attira questi uccelli.
Per il canto dell’allodola s’usa il verbo gorgheggiare, il quale indica il canto di vari uccelli: gorgheggiano, infatti, pure l’usignolo ed il canarino, che emettono suoni trillanti e per i quali si usa in conseguenza anche trillare (come per la stessa allodola), dal latino trit(ti)lare dal tema onomatopeico tr…tl, indicante un suono interrotto, che si ritrova anche nel nostro tartagliare.
Gorgheggiare viene dal sostantivo arcaico gorga, che risale al latino gurgam forma popolare del latino classico gurges, gorgo. Gorga indica(va) la cavità nel fondo della gola, ovvero la canna della gola, quella che oggi si dice strozza. Quest’ultima, la quale ci viene dal longobardo *strozza, gola, ha generato un figlio violento: strozzare, il quale, a sua volta, gli ha dato un nipote odioso: strozzino. In romanesco, oltre a quello di usuraio, strozzino aveva anche un significato più gentile, quello del nastro di velluto che le donne usavano portare aderente al collo per ornamento.
Per fortuna ci si può consolare con gli strozzapreti, piatto presente in alcune regioni dell’Italia centrale, fatto con pasta grossa lunga un pollice, che deve il suo nome al fatto che, per la sua forma, non sempre è agevole da consumare e per una vena di malignità nei confronti della proverbiale golosità dei Preti. Il Belli, nel sonetto La Scampagnata, ne parla così:
Ma a proposito cqui de Strozzapreti:
io non pozzo capì ppe cche rragione
s’abbi da dì cche strozzino li preti:
quando oggni prete è uno sscioto de cristiano
da inghiottisse magara in un boccone
er zor Pavolo Bbiondi sano sano.
(Per i non romani: Ma a proposito di strozzapreti, io non posso capire per quale ragione si debba dire che strozzino i preti, quando ogni prete è un ingenuo cristiano in grado di inghiottire in un sol boccone il Signor Paolo Biondi - persona corpulenta a Roma ai tempi del Belli.)